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“Vivere e narrare il romanzo del Made in Italy”. Melbourne, l’ICE, la cosmesi e la moda italiana: cosi’ si affermano l’industria italiana e il sistema produttivo dell’operaio-impresa (3)

13 agosto 2024

Dal memoir di Tommaso Maria Gliozzi "Foglie d'alloro. Vivere e narrare il romanzo del Made in Italy" (YCP, 2024), abbiamo tratto questo racconto sull'esperienza australiana vissuta dal giovane trade commissioner calabrese sbarcato a Melbourne pieno di entusiasmo.

"Ai miei occhi – scrive – Melbourne aveva tutto quello che un giovane può desiderare; il mare con spiagge d'incanto, la pianura con le immense piantagioni e gli allevamenti, monti boscosi e colline verdi di una bellezza particolare". E quegli angoli di una città decisamente anglosassone.

Ilavoro che mi fu subito affidato rappresentava uno spaccato dell'attività propria dell'ICE: l'acquisizione di informazioni di mercato da passare in Italia, l'assistenza alle aziende italiane e australiane, la promozione dei prodotti italiani.

Ricordo che la prima indagine che mi fu chiesto di condurre fu quella sul mercato australiano dei prodotti di cosmesi e dei profumi. L'esame statistico rivelava, tra l'Italia e l'Australia, uno scambio scarso in quel settore. Tuttavia, mi sforzai di capire, con interviste ad operatori locali, se c'erano possibilità di migliorare le vendite dei nostri prodotti, pur non avendo il nostro paese una industria di spicco. Ne uscì fuori un lavoro importante, dalla lettura piacevole. L'abile ambasciatore italiano a Canberra, che ne ricevette copia, inviò una nota per complimentarsi. Il console generale, invece, era più interessato ai circoli galanti e al bon ton diplomatico.

Il lavoro diventò sempre più impegnativo e senza orario, come del resto è normale quando si è all'estero. Il capo mi dimostrava fiducia e mi dava libertà operativa nell'ambito dei settori che mi erano assegnati. Il rapporto con Dado, il giovane collega che era lí da oltre un anno e che, quindi, aveva un'esperienza superiore alla mia, era ottimo. Insieme a lui trascorrevo molto del poco tempo libero: feste, balli, gite in compagnia di amici, barbecue, qualche partita a carte, cinema, teatro e... molta attenzione ai desideri social del capo.

Ero proprio contento! Avevo preso in affitto un comodo appartamentino da scapolo a Toorak, il sobborgo più esclusivo di Melbourne. Pepita, una giovane spagnola, era incaricata di tenerlo in ordine. Una bella Alfa Romeo – ordinata direttamente a Milano tramite la filiale locale della casa automobilistica, il cui presidente, un noto avvocato del posto, era anche consulente legale del nostro ufficio – era in arrivo.

Quando iniziai a lavorare all'estero, praticamente al mio arrivo a Melbourne, scoprii che la parte più interessante del mio lavoro, quella che mi dava più soddisfazione, era la cosiddetta assistenza commerciale alle aziende.

Anche le indagini di mercato erano gratificanti: scrutare il mercato, scoprire le nicchie promettenti, studiare le preferenze dei consumatori o degli utilizzatori finali, impossessarsi dei segreti del commercio, elaborare strategie di penetrazione per le aziende italiane, conoscere gli importatori, fare anche qualche amicizia nel settore, erano momenti e aspetti della ricerca che arricchivano la mia professionalità, mi davano quel piacevole e rassicurante senso di dominio informativo sul mercato, e generavano la consapevolezza di essere utile all'economia italiana.

Ma era l'assistenza diretta alle aziende l'attività che più mi appassionava. Era un lavoro che talvolta richiedeva pazienza certosina, perché occorreva fare incontrare l'offerta di un dato prodotto con l'interesse allo stesso, anche in settori al limite della saturazione o nei quali la concorrenza era chiaramente impari. Era un lavoro minuzioso, si scavava nelle sacche meno ovvie dell'importazione per scoprire nicchie di domanda. Si setacciava l'interesse potenziale degli operatori locali, si tessevano rapporti e contatti a vantaggio delle nostre aziende. Riuscire, infine, a provocare in un operatore locale una dichiarazione di interesse, sia pure di massima, al prodotto offerto dall'impresa italiana era l'apogeo della gratificazione personale.

Qualche volta, trovare un partner ad una nostra azienda si trasformava quasi in un gioco, un piacevole, fruttuoso passatempo. Ricordo che una volta andai dal collega Dado per un parere su una lettera di una impresa che voleva esportare attrezzi ginnici.

"Dai, dalla a me; ho già trattato casi simili, so dove mettere le mani e quali importatori contattare," mi disse; e, di fronte alla mia evidente titubanza, insistette: "Via, dai, ci penso io, mi diverto..." e mi strappò la pratica dalle mani.

Il termometro dell'importanza di questo tipo di attività erano le numerose lettere che le aziende scrivevano per confermare che, grazie a noi, i loro prodotti avevano trovato uno sbocco... Ovviamente, anche qui, l'impegno era proporzionato alle potenzialità che l'offerta della ditta italiana presentava ad una nostra prima sommaria valutazione; l'esperienza acquisita giornalmente, operando nei vari settori, consentiva anche questo tipo di veloce esame preventivo.

Indubbiamente la promozione che svolgevamo, frutto di un buon lavoro di squadra tra la sede ICE di Roma e il nostro ufficio – come le mostre della meccanica di consumo e strumentale e le iniziative con i grandi magazzini per i beni di consumo – era un'attività più visibile, per la sua natura spettacolare, e più redditizia per alcune aziende; ma non era, per me, quella con i maggiori ritorni in termini di autorealizzazione, né la migliore misura del talento personale.

Si organizzavano anche le grandi presentazioni della moda e le sfilate delle sartorie, eventi affollatissimi e di grande richiamo per il settore e per il nostro Paese in genere. Erano manifestazioni alla cui inaugurazione venivano grossi personaggi politici dall'Italia. Una volta venne addirittura il Capo dello Stato; così la promozione diventava anche occasione di relazioni e di riflessioni politiche.

Proprio per la moda, in quegli anni decisivi per la sua affermazione, fu fatto molto. Il sostegno pubblico fu determinante per la diffusione della sua immagine, specie sui mercati lontani.

Così, l'industria italiana si affermava all'estero e il sistema produttivo dell'operaio-impresa cresceva bene e rapidamente.

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